sabato 26 gennaio 2013

Quando Wilder non va in vacanza

Mai film fu più scisso e sapientemente stonato di Quando la moglie è in vacanza. Il distributore italiano ne aumentò ancora la distonia, perché originalmente il titolo suonava The Seven Year Itch (1955rergia di Billy Wilder) ed ammiccava esplicitamente alla tematica "morale" svolta dal racconto: le tentazioni del tradimento che minacciano l'integrità  di un marito abitudinariamente integerrimo. Tuttavia il matrimonio inizia a invecchiare e la moglie se ne va in villeggiatura, lasciando l'uomo solo in un'afosa e stranita Manhattan. Il titolo italiano portava facilmente alla conclusione attesa: quando la moglie va in vacanza il marito se la fa con la vicina bionda. Questa almeno sarà la conclusione di un bellissimo episodio del telefilm Mad Man (Vacanze romane, terza stagione) che nella fame di citazionismo vintage sembra far riferimento esplicito al capolavoro immortale di Wilder – Pete, collega sottoposto di Don Draper, passa da solo l'agosto del 1963 a New York, tradendo la moglie con una ragazza alla pari dei vicini. L'eroe di The Seven Yer Itch (Tom Ewell) scopre di avere un appartamento comunicante con quello abitato da Marilyn Monroe innamoratissima di lui, in cui vede l'uomo timido e impacciato, dolce e gentile, che ha sempre la meglio sui bulli. Quando la moglie è in vacanza è l'icona assoluta della commedia americana di quegli anni, impareggiabile per sensualità e trasgressione compresse. La malizia aristocratica di Wilder la fa padrona e quest'opera lo consacra come maestro impareggiabile del doppio senso, dove il senso "cattivo" sta tutto nell'occhio e nell'immaginazione dello spettatore. La storia infatti, quella esplicita, è la più finemente bacchettona che si possa immaginare: il marito ha una bionda mozzafiato che gli si infila in casa, beve con lui lo champagne assaggiando patitine fritte, lo bacia, fa una doccia nel suo bagno, gli confessa di essere pazza di lui... e lui si serve di tutto ciò per ricostruire la propria immagine di uomo. Scopriamo così che le sue fantasticherie esogamiche sono nutrite dalla frustrazione di sentirsi non desiderato – non desiderato dalla moglie! – e la possibilità reale del tradimento non farà altro che rinforzare il suo matrimonio, perché egli desidera sua moglie e le vuole essere fedele per scelta e non perché non si danno altre possibilità. Insomma, finisce che Tom Ewell con una pagoda in mano abbandona Marilyn Monroe in accappatoio per raggiungere di corsa la famigliuola...


Il piedino di Marilyn Monroe – ricordiamo che al Museo del Cinema di Torino si possono contemplare un paio delle sue scarpe – è il sensuale protagonista di tutto il film.
All'inizio dell'incontro Marilyn racconta che mentre si stava facendo il bagno per fermare le gocce che scendevano ha infilato l'alluce nel rubinetto incastrandolo senza vie d'uscita. Così chiama un idraulico che data la situazione non nega il pronto intervento anche se è notte. Che vergogna, dice lei, una situazione davvero imbarazzante quella di accogliere un uomo senza lo smalto sulle unghie dei piedi! La scena viene anche immaginata dal protagonista successivamente e quindi deliziosamente realizzata per lo spettatore.
Dopo che sono andati al cinema c'è la famosa scena delle correnti d'aria che alzano la gonna di Marilyn e naturalmente l'inquadratura è tutta dedicata alle estremità. Poi tornano nella casa di lui e lei si toglie le scarpe posando i piedini su un tavolo, magnifici. Gli stessi piedini, da soli, saranno inquadrati nel tentativo di raccogliere una scarpa, perché Marilyn si nasconde, rannicchiata in una poltrona, da un invadente italoamericano incaricato dalla moglie di Tom Ewell di prendere i tappeti per pulirli.


Non ci sono parole, commenti che possano esprimere la potenza creativa e le circostanze che hanno realizzato immagini come questa qua sopra: la divina Marilyn in una vasca e l'alluce incastrato... Solo il culto per queste icone, un culto immortale, può esprimere la devozione e la gratitudine che sono dovute.


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